Scalo montagne, quando posso, altrimenti scrivo, leggo, vedo gente, compilo codice e respiro in silenzio. Umanista con un debole per la fenomenologia, l'ermeneutica, la buona cucina, il buon vino e le amicizie sincere.
𝙿𝚊𝚜𝚜𝚒𝚘𝚗𝚊𝚝𝚎 𝙰𝙸 𝚌𝚘𝚍𝚎𝚛 𝚊𝚗𝚍 GNU/𝙻𝚒𝚗𝚞𝚡 𝚞𝚜𝚎𝚛
@informapirata @informatica Page Not Found
@letterina @libri mi dispiace essere un po’ “caustico” riguardo alla mindfullnes, ma è necessario.
Le pubblicazioni sul tema vanno benissimo, ma mi sento di consigliare ai lettori uno sguardo attento e critico. Non prendete per oro colato tutto quello che leggete, soprattutto in relazione al movimento mindfullnes.
Quanto alla ricerca scientifica sugli effetti dei protocolli mindfullnes, ce ne sono una quantità sterminata, molti restituiscono dati contrastanti.
In ogni caso, supponiamo che la ricerca scientifica dovesse trovare effetti nulli sul cervello di pratiche meditative o persino della preghiera: sarebbe forse un motivo sufficiente per non pregare, per non praticare etica o metodi di presenza mentale sulla vita?
@letterina @libri la mindfullnes purtroppo ha poco o nulla a che vedere con le tradizioni meditative dalle quali ha mutuato metodi e tecniche riducendo antiche tradizioni ad hamburger e patatine. Di fatto è ormai un movimento di business in occidente. Molti tra i cosiddetti istruttori mindfullnes non hanno alcuna seria esperienza nelle tradizioni e nelle pratiche meditative che porgono. La maggior parte di loro ha semplicemente investito dei denari per frequentare master che rilasciano una certificazione il cui unico valore è puramente commerciale per poi cercare di rientrare delle spese sostenute iniziando un business che riduce la complessità della vita, personale e sociale, alla ricerca di un vago e ottuso benessere slegato dalla vita.
Non ultimo, chiunque voglia praticare la presenza mentale sul respiro, come su altri aspetti della esperienza di vita vissuta, può rivolgersi direttamente a uno dei tanti centri di Vipassana, non ha alcun bisogno di pagare un istruttore mindfullnes.
@letterina @libri Sono senza dignità. Nascondere le proprie responsabilità dietro gli errori altrui è il certificato più autentico che poteva fornire della sua inadeguatezza.
@letterina @libri grazie per la condivisione. Sul tema suggerisco, per chi non lo avesse visto, il film storico: “Lo Stato contro Fritz Bauer”
https://invidious.perennialte.ch/watch?v=BX6fxj747Sg
@informapirata @aitech ho estratto il frammento dall’intero evento del famoso dibattito di Lighthill sull’intelligenza artificiale (1973) in cui si incontrarono i principali ricercatori del tempo - James Lighthill, Donald Michie, Richard Gregory, John McCarthy ecc…- per discutere sui progressi e i limiti dell’intelligenza artificiale.
Ad un certo punto si arrivò a discutere i motivi che portarono alcuni ricercatori a preferire il termine “Artificial Intelligence” rispetto ad altri quali, ad esempio, “Automation” o “Computer Science”.
L’intervento di McCarthy fu clamoroso. Tra il serio e lo scherzo lo disse chiaramente: per avere più possibilità di ottenere denari.
– John McCarthy:
«…Excuse me, I invented the term ‘Aritifial Intelligence’, and I invented it because we had to do something when we were trying to get money for a summer study and I had a previous bad experience…»
L’intera conferenza, di grande valore storico, dalla quale ho estratto l’intervento di John McCarthy [00:45:25 - 00:46:55], è disponibile integralmente qui:
https://www.youtube.com/watch?v=03p2CADwGF8
@informapirata @aitech l’avevo postato, giorni fa, ma lo riposto perché questa ricerca non fa altro che mostrare il risultato di campagne di marketing giocate sulla ignoranza, la complessità del campo e gli effetti speciali. Il termine AI venne impiegato per la prima volta da uno dei padri della disciplina per aumentare le possibilità di ricevere fondi per le sue ricerche là dove il termine “automazione” aveva portato solo a una “bad experience”. McCarthy aveva intuito subito la portata marketing del termine AI.
@informapirata @eticadigitale il punto forse è anche che ci sono un po’ troppi “dibattiti pubblici” su questioni e fenomeni che richiedono competenze specifiche e.non comuni per essere trattati, mentre oggi tutti si sentono qualificati abbastanza per parlare di qualunque cosa, in fondo “basta informarsi”. Aprire un dibattito pubblico su temi di sicurezza informatica non ha alcun senso, se non quello della chiacchiera.
@informapirata @eticadigitale ma guarda io ne ho letto diversi di lavori scientifici. Quelli ben fatti non domonizzano nulla proprio perché sono precisi nel definire l’oggetto e il contesto di studio. Ad esempio, dire e provare che un eccesso nell’uso dei sistemi GPS ha un effetto di perdita delle cellule neurali nell’ippocampo, una struttura fondamentale non solo per l’orientamento ma anche per altre funzioni cognitive, non vuol dire demonizzare i navigatori. La Twenge ha svolto una quantità notevole di ricerche sugli effetti di dispositivi e social negli adolescenti senza mai demonizzare nulla.
@informapirata @eticadigitale francamente, è troppo generico. Non è affatto chiaro cosa significhi “benessere”. Persino chi si fa in vena potrebbe dirti che sta una favola quando si fa e in altri suoi rituali. Non per indicare un ruolo necessariamente “tossico” della rete ma trovo molto poco precisa la ricerca.
@letterina @libri non so se questa iniziativa, più commerciale che culturale, porterà a qualcosa di buono. Mi piacerebbe sapere, ad esempio, se le app che gestiranno la pubblicazione e la lettura delle storie manderanno anche annunci o sollecitazioni diverse da quelle previste dalla semplice lettura. Leggere un romanzo o una novella significa abbandonarsi allo sviluppo di una storia, lasciarsi sollecitare un immaginario in quell’abbandono, una posizione difficile da vivere se siamo attaccati a uno smartphone.
@informapirata @eticadigitale è una questione difficile da articolare in chat. Come dicevo altrove, gli umani non sono indirizzi ip, sono esseri incarnati: le storie, prima di essere narrate, sono vissute. Il linguaggio è autentico quando porta alla parola la vita vissuta. Per questo c’è la sovrapposizione anatomica tra le strutture neurali preposte al linguaggio e le aree premotorie, ed è per questo che Aristotele indicava il linguaggio come mimesis praxeos. Nei social il linguaggio è sempre più scollato dalla vita vissuta. Le evidenze cliniche parlano chiaro: le persone che vengono in terapia portano tutte narrative scollate dalla vita vissuta. Più è profondo lo scollamento più appaiono i sintomi.
@informapirata @eticadigitale questo modo di ragionare è esso stesso espressione de problema. Non esiste una causa unica e ultima per fenomeni come il disagio e la malattia mentale. Chiedersi se i social siano la causa di quei fenomeni è già un errore. Questo poi non significa che non possano avere un ruolo, ma bisogna comprendere il fenomeno nella sua complessità.
@informapirata @noccioletta @aitech Per addestrare ChatGPT è stato utilizzato un numero di GPU dell’ordine di 10^4 (https://towardsdatascience.com/how-25-000-computers-trained-chatgpt-11104686a24d?gi=c14a164238da#:~:text=Lambda%20Labs%20estimated%20that%20training,in%20a%20matter%20of%20days). Le GPU utilizzate sono le NVIDIA A100 dal costo di circa 10^4$ ciascuna. La dimensione del dataset per la fase di training va da 1 a 100 terabyte.
Per addestrare un algoritmo di AI generativa che possa competere con quelli creati dalle Big Tech quindi servirebbe:
✓ una spesa dell’ordine di 10^8$ (100 milioni di dollari), solo per avere la “materia prima”;
✓ un dataset omnicomprensivo di dimensioni comprese tra 1 e 100 terabyte;
✓un algoritmo con numero di parametri dell’ordine di 10^11 (GPT-3.5) o 10^12 (GPT-4).
Temo quindi che le AI generative opensource fatte in casa siano irrealizzabili. Più semplicemente si usano le API di OpenAI o simili per interfacciarle graficamente e spacciarle come innovazione.
Il fine tuning invece, cioè riadattare un modello pre-esistente per scopi diversi e specifici, è più praticabile e con costi sostenibili.
@informapirata @noccioletta @aitech Per addestrare ChatGPT è stato utilizzato un numero di GPUs dell’ordine di 10^4 (https://towardsdatascience.com/how-25-000-computers-trained-chatgpt-11104686a24d?gi=c14a164238da#:~:text=Lambda%20Labs%20estimated%20that%20training,in%20a%20matter%20of%20days)
Le GPU utilizzate sono le NVIDIA A100: costo circa 10^4$ ciascuna.
La dimensione del dataset per la fase di training: 1-100 terabyte.
Per addestrare un algoritmo di generative AI da zero che possa competere con quelli
creati dalle Big Tech, servirebbe:
- una spesa dell’ordine di 10^8$ (100 milioni di dollari), solo per avere la “materia prima”
- un dataset omnicomprensivo di dimensioni comprese tra 1 e 100 terabyte
- un algoritmo con numero di parametri dell’ordine di 10^11 (GPT-3.5) o 10^12 (GPT-4).
Temo quindi che le AI generative fatte in casa siano pressoché irrealizzabili.
Più semplicemente si usano le API di OpenAI o
simili per interfacciarle graficamente e spacciarle come qualcosa di innovativo.
Più fattibile invece il fine tuning, la pratica di riadattare un modello pre-esistente per
scopi diversi e specifici, praticabile con costi più sostenibili.
@0alexita @informapirata @eticadigitale un attimo, le mie perplessità erano in relazione al sottotitolo dell’articolo: “Il lungotermismo è una delle filosofie più in voga tra i miliardari del tech…”.
Il pensare nell’ambito della filosofia è lontano anni luce dal pensare nell’ambito tecnico. Già Aristotele diceva: “della teknè c’è dimenticanza, della phonesis no”.
La tecnica non pensa, al massimo calcola. Se poi la devo dire tutta, in quanto sempre vecchia scienza, calcola pure male. Questo poi non vuol dire che non possa generare cose utili e vantaggiose. Il punto è che da quando l’economia ha sposato la tecnica, dando vita all’epoca tecnocratica, ai tecnici è stata data patente per pontificare di tutto, col risultato di prospettive sull’umano aberranti e superficiali. Il lungotermismo non ha alcuna dignità per essere considerato una “filosofia”.
M2C
@informapirata @eticadigitale ma da quando nella Silicon Valley si pensa? Al massimo si calcola, cioè si abita un ambito piuttosto ristretto e angusto del pensiero, sempre solo se porta fatturato. Francamente, non mi pare valga la pena di perderci tempo 🙂